UN'AIDA LUCCICANTE E SOTTO I RIFLETTORI

17.06.2023

Sabato 17 giugno è andata in scena la seconda recita della produzione di "Aida" all'Arena di Verona proposta in apertura del festival. Sono previsti quest'anno otto titoli d'opera e quattro eventi speciali per celebrare il centesimo festival, che non poteva aprirsi se non con "Aida", l'opera regina dell'Arena proposta in tutti i cartelloni dal 1992 e che conta più di settecento recite totali. Quella che vedremo quest'anno non è però la messa in scena che ci si poteva aspettare per celebrare l'anniversario: Stefano Poda ha curato un allestimento che non poteva allontanarsi di più dalla maggior parte delle produzioni di "Aida" proposte fino ad ora, a partire da quella storica di Gianfranco De Bosio. Dopo la serata inaugurale trasmessa dalla Rai in mondovisione, sabato 17 è andata nuovamente in scena "Aida" con qualche variazione nel cast rispetto alla sera precedente. Già dopo la prima serata, l'allestimento di Poda è stato fortemente criticato, ma a mio parere il lavoro del regista va perlomeno ammirato innanzitutto per l'azzardo di mettere in scena un qualcosa di così astratto e allo stesso tempo denso di significato in un luogo dove, si sa, non c'è mai stato molto spazio per l'innovazione. Diverse produzioni di "Aida" hanno avuto vita breve proprio perché non adeguate ai canoni dell'Arena. Nella regia di Poda poco o quasi nulla richiama l'ambientazione originaria del capolavoro verdiano: a dominare il più grande palcoscenico all'aperto al mondo una mano enorme con tanto di falangi mobili, che durante il corso dell'opera si muovono per chiudere la mano a pugno o per spiegare le dita verso l'alto. Attorno una serie di mani -sempre chiuse o aperte- fissate su dei pali, il tutto montato su un praticabile obliquo. Nei nudi gradoni dell'anfiteatro romano dei resti di quella che pare un'astronave a sinistra e di una colonna corinzia a destra. Sono in questo allestimento le grandi masse di coristi e comparse a creare la scena: costantemente presenti i figuranti anche quando non previsti, che accerchiano i solisti e li assillano -diventando quasi fastidiosi alla vista- rappresentando forse i vari aspetti della personalità dei protagonisti. Quasi tutto risulta molto astratto e non c'è nulla che guidi lo spettatore verso una determinata interpretazione. La grande mano può forse rappresentare il destino dei personaggi, le mani più piccole fissate su dei pali con il pugno chiuso potrebbero simboleggiare la guerra e la distruzione: sono queste ultime infatti rette durante la scena in cui Radamès viene scelto come condottiero e durante la scena del trionfo. Nel terzo e quarto atto compaiono alcune piramidi in miniatura, uno dei pochi richiami all'Egitto. Per il resto, l'allestimento è costruito con le luci e con un pallone aerostatico, innalzato sopra l'Arena nella scena della consacrazione delle armi e nella scena finale. Sembra, proprio per la difficoltà di lettura di una simile messa in scena, che l'obiettivo del regista fosse più quello di trasmettere impressioni ed emozioni, più che narrare dei fatti. Qualche dubbio sui costumi, sempre opera di Poda, fin troppo luccicanti e che abbagliano il pubblico riflettendo la luce, e le coreografie, che risultano piuttosto kitsch e fuori luogo, curate sempre dal regista. A questo si aggiunge qualche particolare abbastanza assurdo anche in una messa in scena del genere, come i caschi che vengono indossati durante il trionfo. Non manca sicuramente però un qualcosa di suggestivo: il risultato è uno spettacolo che funziona, che lascia in diverse occasioni gli osservatori stupiti e colpiti da un'oggettiva imponenza. Detto ciò, rimane aperto l'eterno dibattito su che cosa debba esprimere e raccontare il teatro d'opera, se deve essere una rappresentazione fedele di ciò che sta scritto nel libretto o se il regista può interpretare e restituire l'opera in chiave anche così diametralmente opposta a quella a cui si è abituati, specialmente in un luogo come l'Arena di Verona. E' un bene sperimentare, ed è lodevole il lavoro di Poda, mi chiedo però se sia questo il luogo in cui mettere in atto tale sperimentazione. Dispiace comunque che non così di rado durante la recita del 17 diverse persone tra il pubblico abbiano lasciato anticipatamente l'anfiteatro. Del resto, la portata innovativa di questo allestimento sommata ad alcuni particolari che risultano indubbiamente di cattivo gusto non è adeguata ad un pubblico che dall'Arena di Verona si aspetta decisamente dell'altro. 

Marco Armiliato esce glorioso dalla recita, segnata da un allestimento che complica ulteriormente l'arduo compito di condurre solisti, coro e orchestra in un luogo come l'Arena. Guida con sicurezza le grandi masse di coristi e tenta di lavorare con successo su timbri e dinamiche, anche se si riscontrano alcuni problemi d'insieme dovuti all'eccessiva distanza tra coro e orchestra. Ottimo il coro preparato da Roberto Gabbiani. Il cast, in partenza di grande pregio, pare risentire di uno spettacolo così indefinito.                                                                                                                                                                                                                        Buoni gli interventi di Riccardo Rados e Daria Rybak nei ruoli del Messaggero e della Sacerdotessa. Emerge il Ramfis di Michele Pertusi per fraseggio e timbro, saldo e sicuro il Re di Simon Lim. Amartuvshin Enkhbat, nel ruolo di Amonasro, sembra un po' limitato nei movimenti dal difficile allestimento, ma si riconoscono il timbro brunito e pastoso, oltre che la presenza scenica, che lo caratterizzano e che fanno di lui un artista a trecentosessanta gradi. Senza infamia e senza lode la prova di Olesya Petrova, non così entusiasmante per la performance vocale, ma a cui va riconosciuta un'ottima presenza scenica. La Petrova sa attirare su di sé l'attenzione ed è un'ottima attrice, tuttavia la voce non sempre la supporta. Nonostante la prova in crescendo nel corso dell'opera, infatti, si riscontrano poca omogeneità sin dalle prime frasi dopo l'ingresso in scena e eccessi che sfociano quasi nel verismo nella tessitura grave. Si distingue invece per gli acuti facili e squillanti. 

Qualche dubbio sull'Aida di Maria José Siri, non sempre a fuoco. Il ruolo è di per sé completo e la cantante ne dimostra la padronanza, anche se la voce non è sempre così interessante. Buone le intenzioni musicali e il fraseggio, sicuri gli acuti e i filati: molto intensa la pagina di "O cieli azzurri" e poi il finale dell'opera. Anche lei sembra essere un po' limitata nei panni di un'Aida che con la principessa etiope ha gran poco a che fare. 

Il migliore del cast è sicuramente il tenore Yusif Eyvazov nel ruolo di Radamès. Il guerriero egiziano è completo sotto tutti i punti di vista, è un coraggioso condottiero e un tenero amante a seconda delle necessità. Il cantante è supportato da una bella voce, che vanta un timbro caldo e risonante, sempre pieno. Il fraseggio è curato, le intenzioni musicali sono interessanti, per cui il risultato è un'ottima "Celeste Aida" e un finale pressoché etereo. Sempre sicuri e squillanti gli acuti, omogenea la voce in tutti i registri. 

Vedremo prossimamente quali saranno le sorti di quest'Aida, per il momento il pubblico sembra aver apprezzato più la parte musicale che quella scenica, e gli applausi piuttosto timidi per Poda ne sono la spia. Certo è che per il momento quest'Aida sotto i riflettori del mondo intero pare al momento non aver molto convinto, anzi, quasi deluso.  

Giovanni Zambon

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