Riparte la magia: Aida all'Arena di Verona

Ieri sera hanno risuonato nella magica cornice dell'Arena di Verona le note della musica che gli spettatori areniani più amano: quella di Aida. Grande attesa si è soprattutto creata per il ritorno del M.Muti in arena dopo 41 anni: la sera del 7 agosto 1980 il Maestro dirigeva la Messa di Requiem di Verdi (nel cast c'erano Montserrat Caballè, Brigitte Fassbaender, Veriano Luchetti e Ruggero Raimondi). In piazza Bra, una brulicante coda contornata dalle forze dell'ordine (erano presenti tre ministri, Elena Bonetti, Federico D'Incà e Patrizio Bianchi, e un sottosegretario) attendeva di entrare nell'anfiteatro e all'interno si respirava un'aria di gioia e felicità per poter finalmente partecipare come pubblico alla prima rappresentazione di un'opera completa (a parte il "Gianni Schicchi" lo scorso anno) dopo poco meno di due anni (la prima del 2019 si era tenuta il 21 giugno con "La traviata", regia di Zeffirelli). Ma c'è anche un altro anniversario da ricordare, quello della prima rappresentazione di "Aida", che in questo anno compie 140 anni! Era infatti il 1871, 24 dicembre per la precisione, al Teatro khediviale dell'Opera al Cairo, quando avvenne la prima assoluta dell'opera più eseguita all'arena. La storia di quest'opera nell'anfiteatro veronese iniziò il 10 agosto 1913 per celebrare il centenario verdiano. All'ora gli interpreti principali furono Giovanni Zanatello (Radamès), Ester Mazzoleni (Aida), Maria Gay (Amneris), Mansueto Gaudio (Ramfis) e Giuseppe Danise (Amonasro), sotto la direzione di Tullio Serafin. Lì cominciò la lunga storia dell'opera nell'anfiteatro veronese, che si interruppe solo negli anni delle due guerre mondiale e lo scorso anno, il 2020. Tante cose sono cambiate in arena, ma sicuramente non la magia: palpabile l'emozione del pubblico all'attacco dei violini nel preludio.
Per assicurare una serata memorabile, Fondazione Arena ha radunato una cerchia di artisti di grande spessore e importanza, primo su tutti ovviamente Riccardo Muti. Il grande coro era disposto distanziato nel palco, mentre a fianco del direttore erano disposti i solisti. Delude un po' lo sfondo fisso di un deserto coperto da minacciose nuvole, del resto è comprensibile il volere della Fondazione di focalizzare l'attenzione sulla star della serata. Ieri sera ha brillato Muti, ma hanno brillato molto anche gli altri interpreti, prima su tutti Eleonora Buratto, al suo debutto nel ruolo di Aida. La sua prova va in crescendo, raggiungendo il massimo dell'espressività e della passione del terzo atto e nel duetto finale. Inizia un po' sotto tono nel primo e secondo atto, ma poi regala al pubblico stupore e forti emozioni per tutto il terzo: la romanza "O cieli azzurri" permette alla Buratto di sfoggiare tutta la sua gamma di colori e il suo legato a dir poco soddisfacente, intonando un do acuto ammaliante e raffinato. Continua con le sue sfumature passionali, filati raffinati e delicatezza fino alla fine, commuovendo il pubblico nel finale dell'opera. Anche l'interpretazione convince: la sua Aida è una principessa combattuta dall'amore per la patria e da quello per Radamès, la sua Aida è tormentato, distrutta dal dolore, che decide di morire per amore. Insomma, un debutto da far invidia a molti soprani che cantano questo ruolo da tempo, il suo.
Brilla molto anche la stella del giovanissimo tenore Azer Zada (Radamès), che conduce la sua recita in modo contrario rispetto alla Buratto: va meglio nei primi due atti rispetto agli altri. Anche la sua rimane comunque una prova memorabile: convince molto in "Celeste Aida", dove legato ed espressività sono i suoi punti forti. Finalmente abbiamo potuto ascoltare un buon diminuendo sul si bemolle alla fine della romanza, che ha strappato al pubblico un generoso applauso e "bravo" provenienti da tutto l'anfiteatro. Le sonorità che regala Zada sono davvero bellissime, il timbro è meraviglioso, pienamente in armonia con quello della Buratto nel duetto del terzo e quarto atto. Tuttavia, dal "Pur ti riveggo mia dolce Aida" ha iniziato a farsi sentire una certa stanchezza, che comunque non rovina l'ottima prova del tenore, ancora alle prime armi con questo ruolo, ma che riesce comunque a interpretare con disinvoltura e con il giusto carisma: in lui si intravede sia l'eroico Radamès che, soprattutto, il Radamès dolce e innamorato di Aida.
Ottima anche Anna Maria Chiuri, sostituta dell'ultimo momento dell'indisposta Anita Rachvelishvili, alla quale auguriamo una veloce guarigione, sperando che la sua voce possa risuonare in arena il 22. Il personaggio, come già sappiamo dalle numerose volte che la Chiuri lo ha interpretato, risulta maturo sotto tutti i punti di vista: le lacerazioni interne e il dolore di Amneris vengono riflesse dalla voce del mezzosoprano e si spargono nell'anfiteatro e tra il pubblico, facendo vivere il dramma intimo della principessa egizia anche a noi, cosa molto importante che ogni cantante dovrebbe essere in grado di fare, e che la Chiuri sa fare perfettamente. Dal punto di vista della voce, non manca nulla: gli acuti sono sicuri, i bassi sono corposi e pastosi, il legato è meraviglioso, la dizione nitida, i colori preziosi, arricchiti ancora di più dal timbro morbido o aggressivo, a seconda delle momento dell'opera. La Chiuri affronta il ruolo con un'estrema facilità da far invidia ai tanti mezzosoprani che si cimentano con questo duro, aspro e impervio ruolo. Un po' di stanchezza vocale si è fatta sentire verso la fine della scena del giudizio, che comunque è stato il momento in cui è arrivato al pubblico maggior pathòs.
Bene Ambrogio Maestri nei panni di Amonasro, che tratteggia un re etiope dal nobile fraseggio. Tuttavia, quello che è arrivato a noi è stata un po' la sensazione di una mancanza di immedesimazione totale nel ruolo, per cui non dal tutto convincente. Comunque il timbro di baritono è splendido, ricco di colori e le sonorità sono soddisfacenti.
Ottimo il Ramfis di Riccardo Zanellato, che convince totalmente per fraseggio, soprattutto nel finale primo, e per la nobiltà del timbro. Risulta un Gran Sacerdote deciso e imponente nella scena del giudizio, tratteggiando un Ramfis duro e severo, che non si fa piegare dalle suppliche e dalle preghiere di Amneris.

Bene le seconde parti, interpretate da Riccardo Rados (Un messaggero) e Benedetta Torre (Sacerdotessa), con una nota di merito in più per il collaudato Re di MIchele Pertusi.
Ma arriviamo a Lui, al Maestro, alla massima autorità musicale vivente. Su di lui si è detto e scritto molto, sappiamo già qual è il suo modo di dirigere, fermo, deciso e sempre rispettoso della parte. Non starò qui ad elencare i punti dove ci sono stati scollamenti nella buca dell'orchestra o dove mancava un po' di precisione, ma preferirei, piuttosto, fare un confronto con un' "Aida" che Muti diresse nel 1974, con la Caballè, Dominco, Cossotto, Cappuccili e Ghiaurov. Posso dunque affermare, dopo aver ascoltato e riascoltato quell' "Aida" indimenticabile, che il modo di approcciarsi di Muti a questo capolavoro rimane sempre con minime differenze lo stesso, nel segno di intimità, passione e anche durezza e asprezza dove serve. Forse proprio per questo l' "Aida" di ieri sera rimarrà nella storia. Oltre che per il ritorno in arena di Muti, proprio per la capacità di rendere così intime queste pagine nel luogo dove si rappresenta l'opera meno intimo che esista.

Ottimo il coro, preparato da Vito Lombardi, sempre sul pezzo e puntuale, e ottima anche l'orchestra, con una parte degli ottoni nelle gradinate a destra e a sinistra, per l'esecuzione della marcia trionfale.

Al grido di "Viva Verdi" dopo il magico finale dell'opera, è esploso il sincero ed effettuoso applauso del pubblico, felice di poter ritornare a vivere l'opera dal vivo. Tanti tanti battiti di mani per tutti e ovazioni per il Maestro, che ha fatto furoreggiare il pubblico dell'arena e che ha segnato in modo indelebile nelle nostre menti e noi nostri cuori la serata di ieri, coronata da un incontro con Sara Airoldi, Eleonora Buratto e Riccardo Zanellato!
Giovanni Zambon