Teatro filarmonico di Verona: "Stiffelio"

04.11.2024

In un clima alquanto teso a causa dello sciopero e delle polemiche è andata in scena con successo la prima dell'atteso "Stiffelio" a Verona. La rappresentazione è iniziata dunque con poco meno di mezz'ora di ritardo e qualcuno tra il pubblico ha subito manifestato il proprio dissenso con ripetute grida, salvo poi essere zittito da altri spettatori infastiditi. Un inizio, diciamo così, un po' burrascoso, che non è però andato ad inficiare la qualità dello spettacolo.

Di certo "Stiffelio" non è parte del repertorio di molti teatri italiani ed esteri, tuttavia è in corso fin dagli anni Sessanta, in seguito al ritrovamento di due copie della partitura alla Biblioteca del Conservatorio di Napoli, una rivalutazione del lavoro verdiano. La vera svolta è avvenuta nel 1992, quando vennero rinvenute presso la biblioteca privata degli eredi del compositore a Sant'Agata quasi tutte le sezioni fino ad allora mancanti della partitura autografa. L'opera, che precede immediatamente la cosiddetta trilogia popolare, vide la luce al Teatro Grande di Trieste il 16 novembre 1850 su libretto di Francesco Maria Piave e segna la fine degli anni di galera per approdare nella maturità musicale del compositore con i melodrammi borghesi. Possiamo infatti rintracciare diversi elementi che riconducono sia al Verdi di "Nabucco", e dunque alla prima produzione del compositore, sia al Verdi successivo di "Un ballo in maschera" e "Don Carlo"; in questo senso "Stiffelio" (e con lui il rifacimento successivo di "Aroldo", che all'epoca ebbe appena più successo, ma che oggi è comunemente giudicato inferiore dalla critica) appare un po' un esperimento che, seppur con i suoi limiti proprio per tale natura, presenta numerosi elementi di interesse -a partire dalla novità del tema trattato- che permettono di cogliere l'arco compositivo di Verdi e ci permettono di osservare che nulla in Verdi è frutto solo di intuizione ed invenzione melodica, ma anche di pensiero, sperimentazione, tentativi e rifacimenti. Questa è la posizione di "Stiffelio" nella produzione verdiana, centrale a tal punto da essere il momento della svolta e a tal punto da essere, anche se forse inconsciamente, tappa fondamentale per la riuscita dei lavori successivi. Nonostante Verdi rimanga ancorato alle forme chiuse, perfettamente distinguibili, non manca la linea drammaturgica e l'intensità tipica dei melodrammi della maturità, alcuni momenti sembrano anticipare inequivocabilmente i grandi capolavori; per citarne uno, l'aria di Stankar che apre il terzo atto riporta alla memoria l'onore offeso di Renato e la potenza drammatica della musica anticipa "Eri tu" del ballo verdiano. Il clima della pagina introduttiva e la dei cori richiamano uno stile che Verdi si apprestava a lasciarsi alle spalle, lo stile di "Nabucco", per intenderci, che non viene mai completamente abbandonato ma modificato, adattato alle nuove esigenze drammatiche. L'opera è però molto innovativa anche dal punto di vista tematico: non era certamente consuetudine trattare in scena tali questioni, ma l'azzardo forse più grande è il perdono di Stiffelio con cui l'opera si conclude; tutto ci si potrebbe aspettare da un'opera tipicamente ottocentesca eccetto che il marito tradito non vendichi il proprio disonore uccidendo la moglie, ma si limiti al perdono suggeritogli dalle sacre scritture, in particolare dalla pericope dell'adultera, che rivolta a Lina significa sostanzialmente perdono. Come se ciò non bastasse, prima del perdono vediamo anche sulla scena Stiffelio che propone alla moglie il divorzio per concludere senza versare del sangue il loro matrimonio. Sotto questo punto di vista, Stiffelio appare uomo moderno che è in grado di non cedere all'istinto ferino e riesce a controllarsi completamente. Una storia che ha molto da insegnare anche ai giorni nostri.

In occasione della sua prima rappresentazione a Verona, Fondazione Arena ha proposto l'allestimento realizzato dal teatro regio di Parma in collaborazione con l'Opéra de Monte-carlo, con regia e luci di Guy Montavon. Lo spettacolo, interamente improntato sul colore grigio, che ben si addice all'opera, risulta piuttosto scarno ma evocativo, simbolico, in modo particolare nell'ultima scena, durante la quale scendono, legate a delle funi, delle pietre sopra ognuno a ricordare la sopracitata pericope.

Molto più interessante lo spettacolo dal punto di vista vocale, dominata da un Luciano Ganci in notevolissima forma, sempre squillante ed estremamente musicale. Il suo Stiffelio è un uomo tormentato prima dal dubbio e poi dal disonore, combattuto non solo nei gesti ma anche nella voce tra il dovere di pastore e l'onore di uomo, tra la fede in Dio e la passione umana. Dal punto di vista vocale, se possibile l'interpretazione è ancora migliore di quella dell'attore: fin dalle prime note, la voce è potente e sempre equilibrata, ricca, piena di armonici, una voce che ricorda quella dei grandi tenori del secolo scorso; in più, il fraseggio è curato così come le dinamiche e i colori, e il pubblico sente e apprezza tutto ciò: ne sono testimone i lunghi applausi e la generosità del pubblico al termine dell'opera.

L'altro grande protagonista della serata è il celebre baritono Vladimor Stoyanov, autentica voce verdiana, che vanta successo in tutto il mondo. Anche Stoyanov, come Ganci, appare in piena forma, sia dal punto di vista di attore che da quello di cantante: si cala infatti perfettamente nel personaggio e la lunga esperienza in ruoli verdiani che ha alle sue spalle fa sì che tutta la potenza drammatica di ruoli come Germont e Rigoletto si ritrovi anche in Stankar, che sembra contenere nello spessore vocale una spia premonitrice di quei personaggi che Verdi non aveva ancora concepiti. Insomma, in questo Stankar ravvisiamo la medesima austerità, la stessa limitata visione bigotta dell'amore e anche della società tipica di Germont e che nell'interpretazione di Stoyanov è supportata da una voce corposa, dal timbro brunito e ricca di colori, potente e ben proiettata, sempre omogenea. E il pubblico lo adora e lo loda, serbandogli come per Ganci lunghi applausi tutti meritati.

Nonostante un inizio un po' in sordina con qualche difficoltà ad emergere a fianco dei colleghi, la prova di Caterina Marchesini è più che ottima. Nel corso della recita ha infatti avuto modo di mostrare le grandi doti vocali e il talento che possiede: il timbro di soprano è certamente molto interessante, la Marchesini poi mostra grande intelligenza nel fraseggio e nella gestione dei fiati, tanto che le due arie "A te ascenda, o Dio clemente" e "Ah, dagli scanni eterei" diventano due gemme preziose. Dal punto di vista attoriale la prova è convincente, il soprano si muove bene sulla scena ed entra nel personaggio sotto tutti i punti di vista, tanto da incarnare perfettamente la figura della donna pentita e distrutta dal rimorso delle proprie azioni.

Buona la compagine di comprimari: corretto Carlo Raffaelli nel ruolo di Raffaele, soddisfacente la prova di Gabriele Sagona quale Jorg, così come quella di Francesco Pittari, interprete di Federico e quella di Sara Rossini nei panni di Dorotea.

Dal podio, nonostante le dure critiche giuntegli all'inizio dell'opera e il trambusto iniziale con il cambio di orchestrali, Leonardo Sini si difende bene e sfoggia la sua intelligenza e musicalità, restituendo al pubblico un'orchestra compatta nei colori e nelle intenzioni musicali. Dietro ciò si cela sicuramente un importante lavoro di studio di una partitura così rara ma anche così ricca di complessità sicuramente lodevole. In ottima forma il coro della Fondazione Arena, sempre puntuale e musicale, così come le sezioni orchestrali, coese e timbricamente preziose.

Al termine della recita un vero e proprio trionfo per il trio di protagonisti e per il direttore d'orchestra, con tanto di lanci di fiori dalla platea.

La recensione si riferisce alla prima di domenica 27 ottobre 2024.

Giovanni Zambon

Crea il tuo sito web gratis! Questo sito è stato creato con Webnode. Crea il tuo sito gratuito oggi stesso! Inizia