"TOSCA" A VERONA (30/08)
In una
Verona infuocata di fine estate -le temperature nel pomeriggio si aggiravano
attorno ai trentacinque gradi- è andata in scena venerdì 30 agosto l'ultima
replica della "Tosca" secondo Hugo de Ana. Sulla carta questa "Tosca" -che
rientra nei titoli proposti per le celebrazioni del centenario della morte di
Puccini (quest'estate in Arena il pubblico ha applaudito anche "Turandot" e "La
Bohème")- prometteva bene, molto bene visto il cast stellare che Fondazione
Arena ha proposto ad un pubblico fin da subito estasiato, che non appena ha
udito, annunciato dagli altoparlanti, il nome di Jonas Kaufmann, è esploso in
un fragoroso applauso. Insomma, le aspettative erano piuttosto alte (a fianco a
Kaufmann quale Cavaradossi, Stikhina quale Tosca e Tezièr nei panni di Scarpia)
e il pubblico non è di certo rimasto deluso. A splendere non è stata soltanto
però la stella di Kaufmann, ma anche quella degli altri protagonisti, direttore
d'orchestra incluso.
L'allestimento, curato dal regista argentino Hugo De Ana -un nome e una garanzia a Verona, quest'anno suo anche "Il barbiere di Siviglia"-, è presente nell'anfiteatro fin dal 2006 quando a calcare il palco c'erano la Cedolins, Álverez e Raimondi ed è stato più volte ripreso sempre con successo perché propone quella componente che in Arena è tra gli ingredienti fondamentali per una messinscena di valore: la spettacolarità e l'utilizzo di maestosi effetti scenici. Innanzitutto, quella di De Ana è una Tosca "militare", è costantemente richiamata infatti la guerriglia, la battaglia, che nei giorni di quel giugno del 1800 vedeva prima sconfitto e poi vincente Napoleone Bonaparte. Fortissimo (anche troppo) il colpo di cannone che annuncia la fuga da Castel Sant'Angelo del "console della spenta repubblica romana" Cesare Angelotti, continui durante il Te Deum i colpi dei cannoni che borbottano sommessamente quasi a sottolineare le barbare intenzioni del capo della polizia romana, numerosi i colpi esplosi e anche qui forse troppo forti alla fucilazione di Cavaradossi. Funziona molto bene in questa "Tosca" la gestione delle masse e il colpo di genio del maestoso Te Deum, scena sensazionale che per musica e qui anche per regia non può non impressionare lo spettatore. Nonostante anche "Tosca" -come le altre opere di Puccini- abbia un carattere piuttosto intimo, la grande testa e le due braccia (una delle quali si abbassa nel terzo atto a sottolineare la sconfitta di tutti i personaggi, o forse a simboleggiare il fato che funesto cala la scure sui protagonisti) sembrano realizzare in uno spazio così ampio una dimensione riservata, appartata, in cui va in scena il dramma personale di Tosca. Stupendi e preziosi i costumi d'epoca curati sempre da De Ana, funzionali le luci e le scene (sempre di De Ana).
A dirigere l'orchestra è ancora una volta l'israeliano Daniel Oren, giunto ormai al quarantesimo anniversario dalla prima "Tosca" e dal debutto in Arena (4 luglio 1984, nel cast Éva Marton, Giacomo Aragall e Ingvar Wixell). La sua lettura del capolavoro pucciniano lascia senz'altro convinti, dalla scelta dei tempi alla gestione delle dinamiche e timbriche. Nonostante qualche momento forse un po' troppo concitato e diversi scollamenti tra buca e palcoscenico, tra orchestra e solisti -dovuti sicuramente a poche, se non pochissime prove-, Oren esce vittorioso dalla recita, regalando al pubblico un'orchestra estremamente coesa, unita, ricca di colori che emergono e creano suggestioni, mai monotona e sempre attenta ad ogni richiesta di maggior enfasi da parte di Oren, che stupisce fra l'altro per la capacità comunicativa e il gesto ricco di pathos. Meravigliosi in particolare alcuni momenti che vedono la compagine orchestrale protagonista, da citare la lunga apertura del terzo atto che precede l'aria di Cavaradossi.
Soddisfano il pubblico i tre protagonisti che dominano la scena con i loro strumenti vocali estremamente potenti e ben utilizzati. Brilla la stella di Jonas Kaufmann, meritatamente tanto atteso a Verona e accolto entusiasticamente dal pubblico gremito nelle gradinate e in platea. Il tenore possiede a mio avviso tutte le carte in regola per essere considerato tra i più grandi artisti viventi: in un luogo come l'arena dove il suono è soggetto ad un'enorme dispersione, la sua voce viaggia generosa tra le antiche pietre e raggiunge anche lo spettatore più in alto di tutti; il timbro è brunito, talvolta molto scuro specialmente nella zona centrale e in quella grave del registro, quasi baritonale, ma sempre vario e ricco di colori, capace di lunghi acuti dal piglio fiero e in grado anche di piegarsi alle dolci linee melodiche di "E lucevan le stelle" e a filati nella zona acuta. La prova di Kaufmann è in crescendo nel corso della recita, anche se riscontriamo una stanchezza generale -percepibile soprattutto nel registro acuto- a partire dal terzo atto quando il fraseggio va frammentandosi soprattutto nel duetto con la Stikhina. Nonostante le buone abilità di attore che Kaufmann ha sempre dimostrato, forse a causa delle poche prove talvolta si muove sulla scena in modo un po' approssimativo senza dimostrare troppo coinvolgimento e complicità con i colleghi. La sua resta comunque una prova ottima che il pubblico ha decisamente apprezzato.
In crescendo anche la prova di Ludovic Tezier, che nel corso della recita sfoggia tutta l'ampiezza e la potenza del timbro meraviglioso a cui ha abituato il pubblico. Se il fraseggio è forse nel primo atto e nel Te Deum un po' spezzato, mano a mano che lo spettacolo continua il suono si rivela bilanciato, ricco di armonici e di colori, a cui vanno aggiunte grandi capacità di attore che in un ruolo come Scarpia sono fondamentali almeno quanto quelle vocali. Il suo Scarpia è un uomo terribile, insinuante, sempre più malvagio e insensibile alla disperazione di Tosca, sembra veramente godere (anche attraverso la voce) nel provocare dolore agli altri personaggi. Insomma, uno Scarpia così approfondito che lo si arriva ad odiare profondamente fin quasi ad attendere il momento della sua morte.
A convincere di più è però la Tosca di Elena Stikhina, che della diva ha movenze e voce. Il personaggio tratteggiato dal soprano risulta completo soprattutto per lo strumento di cui è in possesso: la voce è ampia, ben proiettata e soprattutto ricca di sfumature, bilanciata in ogni zona del registro. La Stikhina non scade mai in frasi urlate o parlate, ma preferisce utilizzare tutta la potenza drammatica della propria voce per esprimere al meglio il dolore e il disgusto nei confronti delle intenzioni di Scarpia. Il suo "Vissi d'arte" è senz'ombra di dubbio memorabile, la Stikhina riesce a incantare il pubblico e a lasciare tutti con il fiato sospeso. Decisamente all'altezza della situazione le notevoli capacità di attrice del soprano, che si muove a proprio agio e che si dimostra coinvolta in un personaggio che le si addice per caratteristiche vocali e che ha ben approfondito e portato in scena con tutte le sue sfaccettature.
A completare il cast l'ottimo Angelotti di Gabriele Sagona, il puntuale Sagrestano di Giulio Mastrototaro, l'ineccepibile Spoletta di Carlo Bosi, l'apprezzabile Nicolò Ceriani quale Sciarrone e il Carceriere di Carlo Striuli. Buono l'intervento del Pastore di Mattia Lucatti Veronese.
Puntuale e sicuro, sempre omogeneo, il coro preparato da Roberto Gabbiani, così come anche il coro di voci bianche A LI.VE. diretto da Paolo Facincani. Al termine della recita, grande successo personale per i tre protagonisti, accolti da ovazioni, e per il direttore d'orchestra.
La recensione si riferisce alla replica di venerdì 30 agosto 2024.
Giovanni Zambon